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Scritto da Redazione
Cronaca
26 Settembre 2024

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Da anni il circolo Legambiente Carrara chiede che i dati sull’estrazione nelle singole cave siano resi pubblici, in chiaro, e in forma pienamente trasparente, cava per cava. Adesso, dopo ripetuti “accessi parziali”, sarà il Tar della Toscana a decidere se le percentuali di resa di ciascun sito siano o meno una “informazione ambientale” alla quale tutti i cittadini hanno diritto ad accedere. Martedì 24 settembre i legali di Legambiente, Diego Aravini – che è anche co-presidente del CEAG (Centri di azione giuridica dell’associazione) – del foro di Roma e Micaela Chiesa e Umberto Fantigrossi del foro di Milano, hanno notificato al Comune di Carrara e ad alcuni dei “controinteressati” (le imprese che si erano opposte alla richiesta di accesso) il ricorso che sarà poi iscritto a ruolo. «Quest’anno abbiamo deciso che la richiesta di accesso ai dati – spiega il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani – non fosse demandata al solo circolo di Carrara ma ce ne siamo assunti direttamente la paternità, assieme alla Direzione regionale toscana. Lo avevamo annunciato: di fronte a una risposta ancora una volta parziale non ci saremmo rassegnati, perché le Apuane in generale sono una priorità nazionale e la gestione delle cave di marmo di Carrara deve essere trasparente, nell’interesse di tutti, comprese le aziende che operano correttamente in un settore così delicato da tutti i punti di vista, ambientali, sociali ed economici».

«La nostra battaglia contro il modello estrattivista, ancora largamente egemone nel distretto di Carrara - aggiunge Fausto Ferruzza, presidente di Legambiente Toscana – vede in questa iniziativa al TAR un passaggio fondamentale: siamo convinti che le istituzioni locali non possano più continuare a opporsi alle legittime richieste di trasparenza, che vengono oggi non più solo dal mondo ambientalista ma anche da più parti sociali: sindacati, comitati, quando non addirittura da alcuni degli stessi Partiti che governano la città di Carrara».

Nel ricorso, i legali di Legambiente puntano a evidenziare l’illegittimità della motivazione espressa dal Comune per giustificare l’accesso parziale ai dati (resi “anonimi”, e quindi inservibili per risalire alle quantità estratte da ogni singola cava). Ossia la “tutela degli interessi economici e commerciali”. La legge, in realtà, fa riferimento a specifiche “informazioni commerciali e/o industriali”, ma in ogni caso il Comune avrebbe dovuto anzitutto motivare in modo puntuale la sussistenza di un pregiudizio reale e concreto, non limitandosi a prefigurare il rischio di un pregiudizio “in via generica e astratta”. Soprattutto avrebbe dovuto valutare con più attenzione i casi in cui la giustizia amministrativa ha già riconosciuto essere preponderante l’interesse pubblico, come quello rappresentato da Legambiente, poiché volto a valorizzare l'obiettivo della massima conoscibilità e trasparenza delle informazioni in materia ambientale. Si tratta di requisiti fondamentali per favorire la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali che riguardano l’ambiente, promuovendo forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo di risorse che possono essere definite, a buon diritto, beni comuni. Vale la pena ricordare che il Difensore civico della Regione Toscana Lucia Annibali aveva accolto il ricorso presentato da Legambiente, sostenendo proprio che la decisione del Comune di Carrara di non rendere pubblici, cava per cava, i dati sulla resa produttiva non era sorretta «da una motivazione adeguata e sufficiente», Da qui l’invito rivolto all’amministrazione comunale di «rivedere il procedimento». Un “invito” autorevole caduto, purtroppo, nel nulla.

«Abbiamo fiducia che il Tar riconosca le nostre ragioni – conclude Mariapaola Antonioli, presidente del Circolo Legambiente Carrara – e siamo convinti che una sentenza di accoglimento del ricorso, stabilendo l’obbligo dell’amministrazione di fornirci tutte le informazioni ambientali oggetto dell’istanza sarebbe una vittoria per l’intera città e per la stessa Amministrazione Pubblica, che non può continuare ad assecondare gli interessi di un’imprenditoria concentrata unicamente sull’incremento dei propri profitti, a danno della collettività e del patrimonio paesaggistico e ambientale delle nostre montagne».

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