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Scritto da Redazione
Economia
23 Febbraio 2022

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Dura la critica di USB Massa alle dichiarazioni di Fillea CGIL su PIP e nuove norme di tutela ambientale, che, secondo i confederali, metterebbero a rischio molti posti di lavoro a causa della chiusura di alcuni siti estrattivi: “Ci dicano semmai le imprese perché i loro profitti milionari continuano a crescere a fronte di una continua diminuzione dei posti di lavoro e che ripercussioni hanno queste dinamiche sulla sicurezza dei lavoratori. Quanta occupazione si potrebbe realmente creare se la ricchezza non fosse concentrata nelle mani di pochi ma i soldi fossero utilizzati per creare lavoro, per la messa in sicurezza, per la tutela ambientale e il ripristino di un territorio devastato da anni di estrazione selvaggia sotto ogni punto di vista.”

Riguardo al lavoro in cava, USB sostiene che “negli ultimi 50 anni i volumi estratti sono aumentati vertiginosamente e di conseguenza sono aumentati i profitti delle aziende estrattive: tra gli anni ‘80 e i 2000 si è estratto più marmo che nei precedenti 2mila. Non sono aumentati però i posti di lavoro, né la ricchezza della comunità. Semmai è successo il contrario: da 20mila lavoratori di inizio secolo si è passati ai 700 di oggi. Questo non è stato causato dall’introduzione di forme di tutela dell’ambiente, ma dal progresso tecnologico che invece di essere messo a servizio della riduzione dei rischi per persone e ambiente, è diventato un’occasione per le aziende per sostituire la manodopera e abbattere i costi.”

Infatti, continuano da USB, “il lavoro in cava è ormai dominato dalle macchine, più di 1.5 a persona, mentre si continua a morire e a subire brutti infortuni: INAIL conta 7 morti nel comparto estrattivo nell’ultimo quinquennio. Troppe le delocalizzazioni in paesi con manodopera a basso costo. Anche per questo l’indotto è in costante caduta nel nostro territorio. Ormai i blocchi sono immediatamente diretti in Cina o Medio Oriente e i detriti pronti per essere polverizzati dall’Omya. Persino i diritti sul lavoro in cava sono sprofondati. Pensiamo alle grandi conquiste sindacali di Alberto Meschi, che nei primi decenni del ‘900 aveva ottenuto le 6.5 ore a parità di salario, mentre oggi il lavoro straordinario del sabato è diventato quasi un obbligo, lo straordinario feriale è una normalità e la giornata lavorativa
arriva a raggiungere anche le 12 ore, sotto il sole cocente o con il freddo pungente.”

“Sebbene l’estrazione di materie prime riguarda la storia dell’umanità e da essa dipende la vita dell’essere umano da secoli, l’estrattivismo è ciò che succede quando l’estrazione di risorse si combina al capitalismo più sfrenato: un sistema che arricchisce a dismisura pochissimi proprietari e grandi industriali, condannando la stragrande maggioranza del popolo che vive il territorio. A questo ci opponiamo come sindacato in difesa della comunità, di
lavoratori e lavoratrici.”

USB interviene sulla responsabilità di quello che viene definito uno dei peggiori disastri ambientali al mondo: “Per troppo tempo, guardando le montagne e vedendole diventare irriconoscibili si è puntato il dito contro i cavatori, addossando loro la colpa di quel danno. È il momento di rendere chiaro che non sono stati i cavatori a decidere quanto e come estrarre, che non sono i cavatori a condannare un territorio, ma i grandi industriali che si comportano
come padroni di una terra che non gli appartiene. Chi sarà domani il prossimo licenziato, sostituito da una macchina o il cui lavoro sarà delocalizzato? Quale futuro ci aspetta se continuiamo a delegare l’amministrazione dei beni comuni a coloro che hanno come unico interesse quello di aumentare il proprio capitale aziendale?”

“È fondamentale, inoltre,” - spiega USB – “aprire un dibattito con lavoratori, lavoratrici e amministrazioni affinché i fondi pubblici vengano investiti considerando lavoro e ambiente come due aspetti che devono e possono trovare sinergia. Dobbiamo essere in grado di ricomporre due lotte apparentemente lontane. Oggi l’Europa e gli Stati stanno investendo risorse per la riconversione ecologica. Tuttavia, ciò sta avvenendo all’interno dei rapporti di forza che si sono costituiti nell’ambito di un sistema plasmato dall’economia capitalista, trasformando quella che dovrebbe essere una riconversione per ridurre l’impatto ambientale delle produzioni in un piano economico in difesa dei profitti aziendali. Gli enti pubblici si sono trasformati in erogatori di bandi per servizi e appalti, delegando la gestione del bene comune ai soggetti privati, quando invece sarebbe possibile creare posti di lavoro pubblici per la tutela
e la cura del territorio.”

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