Si dice che Billie Holiday avesse odiato quel titolo, Lady sings the blues, dato dagli editori sia alla sua autobiografia scritta che – successivamente – al film biografico (a dire il vero, non molto riuscito) interpretato da Diana Ross. Pare fosse stata proprio la parola blues a non andarle a genio.
Ecco, nel piccolo, noi abbiamo cercato di non ripetere lo stesso errore con Sara Maghelli: abbiamo ritenuto Lady sings the jazz più appropriato per lei. Sicuramente sarà lusingata dell’accostamento con la grande “Lady Day”; eppure Sara, signora (lady) lo è davvero; ed è pure discretamente brava a cantare jazz. Certo, lo fa a modo suo. Non come Billie. Ma siamo onesti: chi canta come la Holiday? Nessuno.
Sara non viene da Baltimora, ma da Montignoso, che, da Forte dei Marmi, dista appena 46 chilometri. Come Billie, però, ha avuto (ed ha) un padre che suona la chitarra e che le ha trasmesso il talento per la musica. E – esattamente come Holiday – è cresciuta ascoltando i vinili jazz che aveva per casa.
Ieri sera, a Villa Bertelli, è stato un tripudio. In cartellone, per la rassegna “L’altra Villa”, c’era la Versilia Big Band in concerto. E Sara Maghelli era l’ospite speciale, assieme al trombettista Alessio Bianchi e al maestro Silvano Bottari.
Noi l’abbiamo raggiunta per un’intervista poco prima dello spettacolo.
Mentre la sala convegni della Fondazione, a mano a mano, si riempiva fino quasi ad esaurirsi del tutto, nella sala Treccani (adibita, per l’occasione, a camerino), Sara si è concessa in esclusiva alla Gazzetta raccontando tutto di sé: dai primissimi amatoriali ascolti allo studio approfondito della musica, fino al suo debutto come vocalist jazz nelle band di zona.
Ci parli dei suoi esordi
“Ho iniziato a studiare violino e pianoforte, alla scuola comunale di Massa, quando avevo all’incirca sette anni. Quindi, piccolissima. Non ho però finito gli studi, per cui non mi sono diplomata. Mi sono iscritta al liceo, nel frattempo, ma la passione per la musica non si è mai assopita. Continuavo a suonare, così mi sono avvicinata al canto. Ho cominciato con le prime piccole band, poi mi sono messa a studiare canto. Considero la voce un vero e proprio strumento”.
Da dove deriva la sua passione per il jazz?
“È un genere che ho sempre avuto nel cuore. Molto probabilmente perché mia madre aveva tantissimi vinili in casa ed io, da bambina, mi divertivo ad ascoltarli. Poi mio padre è un musicista, suona la chitarra. Così mi sono avvicinata al jazz. Ho iniziato a studiarlo con diverse insegnanti del calibro di Michela Lombardi, Michele Hendrix, Roberta Gambarini: tutte grandissime personalità della musica jazz contemporanea. Finito il mio percorso di studio, ho iniziato a suonare con vari musicisti”.
Quali sono stati i suoi primi passi come vocalist jazz?
“All’inizio avevo un trio, ma in questo ambiente – ed è un bene – c’è sempre un ricambio di musicisti. Non bisogna mai fossilizzarsi. Poi ho cominciato a collaborare con altri grandi strumentisti come il pianista americano Ben Patterson, il noto trombettista Flavio Boltro, Ugo Bongianni, Joel Holmes; e poi tutti i musicisti locali: Andrea Garibaldi, Gianluca Tagliazzucchi, Andrea Papini…”
Quali sono stati i suoi maestri?
“Devo dire che mio padre, Alberto, è stato il mio maestro più grande. Le racconto un aneddoto buffo: quando studiavo Vivaldi, a scuola di violino, tornavo a casa e lo rieseguivo ‘jazzandolo’. Mio padre, dall’altra parte della sala, sentiva e mi urlava ogni volta: “No, Sara, rifallo da capo!”
Quali sono stati, invece, i suoi artisti di riferimento?
“Potrei fare un elenco infinito. Sicuramente direi Ella Fitzgerald e Billie Holiday (quasi scontate), ma anche Sarah Vaughan e Anita O’Day, che reputo una bravissima cantante con un grande senso del ritmo. Tra i musicisti, potrei nominare il grande pianista Earl Hines o Chet Baker”.
Ad un'aspirante cantante jazz con quale artista consiglierebbe di approcciare?
“Seguo diverse giovani cantanti e, nel loro percorso didattico, consiglio sempre di ascoltare i grandi artisti. C’è questo mito del jazzista che non è educato alla musica e che non sa suonare perché non rispetta la melodia. Falso. La maggior parte dei jazzisti aveva un grandissimo background. Frank Sinatra, ad esempio, è uno di quelli che rispettava maggiormente la melodia. Io consiglierei di partire dai lui per poi tirare fuori la propria identità vocale ed interpretativa”.
Sara Maghelli, lady sings the… jazz: da Montignoso a Forte dei Marmi con la Versilia Big Band
Scritto da andrea cosimini
Montignoso
11 Dicembre 2022
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