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Scritto da paolo cucurnia
Cronaca
11 Febbraio 2024

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Avviare la memoria di Tore è come dare la stura all’otre di Eolo: un turbine di ricordi invade la casa, ed incredibilmente, nel prosieguo dei racconti la voce gli esce sempre più ferma e brillante, mettendo in ordine cronologico e commentando puntualmente le pagine di un personale volume iniziato l’8 febbraio del 1923 e, se Dio vuole, non ancora concluso.

“ A son’ nat’ l’ot’ ‘n ca’, ma la balia, com’ al’ suc’dev’ a chi tempi,  a l’è ‘ndata ‘n comune a Carara quatr’ dì dop’ e cuscì a son’ registrat’ ‘l dod’c’…”: dice, lamentandosi, che la processione di cronisti e TV continui fin dal 3 febbraio.

L’intervista, in stretto dialetto marinello, inizia dal primo imbarco a 14 anni sul FLORETTE, lo “scun’r” tuttora navigante, comandato allora, da Giocondo Telara, armato dalla famiglia Falconi assieme al navicello WALTON e al GIORGINA: nave in ferro.

Dopo i primi viaggi frequentò i tre anni dell’Istituto Tecnico e poi passò all’ENEM dove, nel ’36, si diplomò motorista navale. La scelta di motorista fu dettata dal fatto che la flotta di velieri cominciava a motorizzarsi e, per le barche di famiglia, era estremamente importante avere in casa un direttore di macchina.

Allo scoppio della guerra si trovava sul NETTUNO II, un bastimento che fu militarizzato e gli fu installato a bordo, in via sperimentale, il predecessore del SONAR che i tedeschi avevano copiato, passando poi i piani alla Regia Marina, dopo la cattura di una nave inglese allo sbarco di DUNKERQUE.

“Uscivamo da Spezia con a bordo gli allievi di marina per addestrarli all’apparato, preceduti da un sommergibile “lepre” che si immergeva. Se le antenne subacquee intercettavano il segnale riflesso  dal natante comunicavamo: direzione e distanza, ai VAS (Vascello Anti Som) che ci seguivano e lanciavano una carichetta esplosiva, se il sottomarino captava lo scoppio nelle vicinanze, affiorava e si dichiarava: “colpito”; così ne traevamo le dovute esperienze”: racconta Tore con lucidità e fervore, all’attacco dei suoi 101!

Poi dopo l’otto settembre lo sfollamento con la famiglia a Ficola e la fame; per fortuna, da buon marinaio sapeva fare le “spardiglie” che il fratello Ferruccio  (97 anni, Capopilota del porto di Venezia e attualmente giornalista del GAZZETTINO VENETO) riusciva a vendere a Parma trainando un rudimentale carretto carico di calzature all’andata, sperando di caricare, al ritorno: farina e fagioli.

La lucida cronaca di “un’odissea in mare”, nei triboli del primo dopoguerra rende, chi ascolta Tore, partecipe dell’avventurosa traversata che segue. Stavolta la barca era un Trabaccolo motorizzato: “SERAFINI GIOVANNA”: barca adriatica, con fondo piatto e timone sollevabile atto ad entrare nei porti/canale di quelle coste; quest’organo funge anche da deriva, per impedire allo scafo lo scarroccio; è un barco atto alla pesca e importato nel Magra ai primi del novecento dalla migrazione di pescatori provenienti da S. Benedetto del Tronto. Detto trabaccolo era stato modificato proprio nel timone e nello scafo per adattarlo al trasporto merci ed alla normale navigazione tirrenica. Ma la barca allestitasi da Marina con marmi, per Siracusa era ingovernabile. A Livorno un amico sommozzatore cercò in qualche modo di abbozzare una specie di deriva, ma poco cambiava e a Piombino si dovette ancora intervenire, con nuovo allungamento della pala. In qualche maniera e con fatica, presero la via della Sicilia, e superarono lo stretto, sfidando Scilla e Cariddi con le forti correnti che per sei ore tirano verso lo Ionio e per le successive sei in verso contrario. C’erano i gozzi pilota che aiutavano, ma andavano pagati e l’equipaggio marinello era a corto di denaro. Dopo un  mese e mezzo giunsero a Siracusa, quando oramai li avevano dati per persi. Non poterono negarsi ad un carico di aranci da Catania per Napoli,  ma dovettero puggiare a Vibo Valentia perché rischiavano di perdere il timone e nella tappa il carico di agrumi non fu indenne dai furti dei locali. Imperava la fame più nera. A Napoli dovettero anche giustificare, riuscendovi in qualche modo, gli ammanchi e caricarono il ferro per Genova. Giunsero a casa tre mesi dopo la partenza: più o meno una traversata oceanica!

Tore ha continuato a navigare barche e vapori fino all’83, mettendo insieme 44 anni di navigazione effettiva nei “sette mari” e, a ragione, si fregia della medaglia d’oro di lunga navigazione. Domenica festa grande attorniato dai Famigliari: i figli Lucia e Cesare, la moglie di quest’ultimo, la simpatica e graziosa Giovanna ed i loro splendidi figli Luca e Chiara.

All’amico e parente Tore gli auguri di buon compleanno.

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