Ormai da troppi anni chi si affida alle strutture pubbliche sanitarie per prenotare viste mediche o esami deve spesso attendere tempi biblici o comunque non adeguati allo stato di salute. Infinite liste di attesa obbligano i cittadini a dover differire diagnosi ed interventi chirurgici. Per questo motivo, molti di essi sono costretti a rivolgersi a strutture private con conseguente aggravio di spesa (a volte, obtorto collo, devono anche indebitarsi per potersi curare). Mesi di attesa per ottenere prestazioni sanitarie ambulatoriali (o di ricovero) a spese dello stato, viceversa sono sufficienti pochi giorni, per ricevere gli stessi servizi, se ci si affida al privato. Una situazione inaccettabile, anche in ragione del fatto che i cittadini hanno già pagato le tasse, pertanto l'erogazione dei servizi spetta loro di diritto senza esborsi aggiuntivi. A tal riguardo la Corte dei Conti nel suo referto dichiara che: “Il fenomeno delle liste di attesa in Toscana continua a presentare profili di criticità e disfunzioni organizzative, che si ripercuotono negativamente sulla capacità del Servizio sanitario regionale di garantire l’accesso generalizzato e tempestivo alle visite specialistiche e agli accertamenti diagnostici e che richiedono solleciti interventi di governo del sistema per un recupero di efficienza”.
In risposta al suddetto organo di controllo la Regione Toscana imputa come causa di tali disservizi l’onda anomala di prescrizioni che dal 2019 al 2023 ha visto crescite fino al 42 per cento. Tra i fattori che hanno portato la situazione fuori controllo, secondo la Regione, ci sarebbero i nuovi medici di famiglia che, appunto, non conoscono bene i loro pazienti. Visto che nella sola ASL Toscana Nord Ovest mancano 176 medici di famiglia, di cui ben 34 nella provincia di Massa Carrara (25 sulla costa e 9 in Lunigiana) mi chiedo tra il serio e il faceto, ma di quanto saliranno le prescrizioni quando la carenza di medici sarà sanata? In mezzo a questi botta e risposta sembrano essersi persi i “pazienti cittadini” ed è scattata la caccia al medico di famiglia tra cup, icket e liste d’attesa. Una volta i pensionati passavano il tempo a controllare i lavori in corso, secondo il modo di dire: un cantiere ti allunga la vita, oggi, l’attesa in corsia… la vita, te la porta via. Come si esce da questa “malasanità”? A mali estremi, estremi rimedi. Esiste infatti una legge che impone allo stato di rimborsare il cittadino che abbia dovuto rivolgersi all’attività libero professionale (Intramoenia), quando quella pubblica non fosse stata in grado di soddisfare le sue esigenze entro i tempi previsti. È il decreto legge del 29 aprile 1998, numero 124, che regolamenta appunto le liste d’attesa, precisando che le Regioni, insieme alle Asl locali e agli ospedali, devono stabilire i tempi massimi che intercorrono tra la richiesta della prestazione e la sua esecuzione. Nei giorni scorsi una nota trasmissione televisiva nazionale ha dato ampio risalto a questa notizia, mettendo in evidenza la scarsa trasparenza e la mancata divulgazione, da parte delle aziende sanitarie interpellate, della suddetta legge. Ebbene, se questa norma fosse correttamente divulgata (anziché ostacolata) si otterrebbe il rispetto del diritto alla salute dei pazienti, in particolare di quelli più deboli, e forse il nostro sistema sanitario diventerebbe, inaspettatamente, efficiente.